Sulle Migrazioni

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Attraverso KEY 1.0, intendiamo promuovere l'innovazione nell'insegnamento della scienza, e favorire l'inclusione di giovani migranti. Come riportato nell'articolo [scienza e inclusione], sosteniamo che il metodo pedagogico basato sulla discussione è in sé più inclusivo, perché motiva la classe dandole un comune obiettivo.

Oltre a fomentare la coesione della classe, vogliamo anche contribuire, al livello del contesto sociale più ampio, a scoraggiare stereotipi riduttivi riguardo all'immigrazione. Invitiamo alunni e alunne migranti a essere protagonisti di un'azione collettiva della loro classe per fare due cose: allargare attraverso internet il dominio della discussione tra colleghi come metodo di apprendimento, e lanciare una campagna per l'innovazione nell'insegnamento della scienza. È importante osservare che, in linea con lo spirito di questo progetto, non presenteremo una "dottrina ufficiale" di KEY 1.0 sui fenomeni migratori o su qualsiasi altro tema, né agli alunni né a professori e professoresse, tanto meno esigeremo che concordino con noi come condizione su alcun tema specifico come condizione necessaria per partecipare. Al contrario, desideriamo una collaborazione tra persone con diverse visioni del mondo. Oltre all'opinione di chi scrive e di SOS racismo su un qualsiasi processo sociale, ne esistono certamente molte altre ugualmente compatibili con lo spirito critico. Ma a prescindere da questa considerazione, presentare un qualsiasi concetto, anche il piì giusto, come una verità da apprendere senza questionare, sarebbe assolutamente incompatibile con il tipo di insegnamento che vogliamo incoraggiare.

La filosofia di fondo di KEY 1.0, valorizza il dialogo tra le persone con opinioni diverse, ma valorizza anche un atteggiamento fermo e chiaro e il coraggio di prendere una posizione. KEY 1.0 è un progetto di SOS racismo, che afferma il principio che la libertà di movimento dovrebbe essere riconosciuta di fatto come un fondamentale diritto umano. Chi scrive queste righe, pensa che una società con più spirito critico accettava questo diritto molto più facilmente di quanto non lo sia oggi giorno, ed è questa la posizione che difenderà in questo testo.

La cultura occidentale moderna venera la libertà personale. Un altro pilastro della nostra tradizione è la regola d'oro: tratta gli altri come vorresti essere trattato. Limitare la libertà di cittadini non occidentali di vivere in occidente, è in manifesta contraddizione con i principi che difendiamo a parole, e che varrebbe la pena di prendere un po' più sul serio. A parte questo, la maggior parte delle persone a cui neghiamo l'accesso ai nostri paesi, non hanno semplicemente scelto la destinazione del loro viaggio, come dovrebbe essere nel loro pieno diritto, ma sono stati costretti a farlo da circostanze spesso drammatiche. Perfino nei casi più drammatici di famiglie in fuga dalla guerra, c'è chi questiona il loro diritto allo status di rifugiati. La decisione dell'Europa di erigere barriere e vigilare le sue frontiere, costa la vita a centinaia di persone tutti gli anni.

Esiste in casi speciali la necessità di limitare la libertà personale. Questo succede quando abbiamo seri motivi per pensare che i benefici garantiti o i problemi evitati da tali restrizioni, pesino sul piatto della bilancia chiaramente di più di tutte le conseguenze negative. Ma quali sono i problemi che il controllo dei movimenti migratori previene? Molti occidentali sentono che qualcosa di terribile succederebbe se aprissimo le frontiere. Saremmo subito invasi, aumenterebbero la criminalità, il terrorismo, i problemi sociali, la nostra società autoproclamata superiore, si corromperebbe. La premessa di molti di questi timori,  è che le nostre necessità sono più importanti di quelle dei non occidentali. Raramente questa convinzione è dichiarata apertamente, perché contraddice molti altri principi e valori di cui siamo orgogliosi difensori. Quando gli esseri umani sposano allo stesso tempo convinzioni e valori inconciliabili tra loro, quello normalmente fanno per giustificare le loro scelte incoerenti, è razionalizzare, cioè formulare una spiegazione chiaramente non valida, ma a cui ci attacchiamo perché ci fa il favore di risolvere contraddizione. Io penso che sia questa l'origine della seguente opinione: " non possiamo aprire le frontiere, ma aiutare i potenziali immigranti nei loro paesi", che mi sorprende da molti anni per la sua popolarità tra persone colte e intelligenti. Ma quello che mi sorprende ancora di più, è che raramento ho sentito formulare un contro argomento molto ovvio: regolare le migrazioni non contribuisce in nessun modo a colmare le differenze economiche tra paesi ricchi e paesi poveri, ma ha creato e continua a creare tragedie.

Jonathan Haidt, psicologo sociale statunitense, di cui apprezzo molte intuizioni profonde, afferma che un atteggiamento eccessivamente aperto di una parte della popolazione riguardo ai fenomeni migratori, incoraggia politiche permissive che, alla fine dei conti, alimentano le paure del resto della popolazione, e di conseguenza la xenofobia. Sono parzialmente disposto a seguire il raziocinio di Johnathan Haidt. La paura delle migrazioni non sarà razionalmente giustificabile, ma esiste e deve essere presa in considerazione. Se oggi, all'improivviso si aprissero le frontiere totalmente e incondizionalmente, contro la volontà di una grande parte della popolazione, la reazione negativa di questa probabilmente annullerebbe qualsiasi beneficio della misura. Ma nessun movimento antirazzista avrebbe il potere di imporre una politica estremamente impopolare, anche se lo volesse. Quello che i movimenti antirazzisti stanno cercando di fare, è promuovere una narrativa favorevole all'apertura delle frontiere. Solo quando la narrativa dominante cambierà sostanzialmente, potremmo modificare la legislazione. La storia dimostra che la mentalità dei popoli può modificarsi radicalmente in pochi anni, e pertanto il proposito dei movimenti antirazzisti non è utopico.

Questo testo si rivolge principalmente agli occidentali che si prendono il disturbo di cercare di analizzare lucidamente il fenomeno delle migrazioni a larga scala e alla relazione tra la nostra cultura e le alte. Ci faremmo una bella figura se eliminassimo definitivamente la presunzione di appartenere a una cultura superiore. Non voglio sottovalutare le grande conquiste del pensiero umano che sono avvenute in occidente, né voglio negare che, in determinati aspetti estremamente importanti, i progressi che la cultura occidentale ha fatto sono cruciali nel contesto generale della storia della nostra specie. Voglio semplicemente dire che una scala gerarchica di civilizzazioni ... Voglio semplicemente dire che una scala gerarchica lineare e monodimensionale di civilizzazioni è sprovvista di qualsiasi utilità. Dirò di più, è estremamente perniciosa. Non nego l'esistenza e l'utilità delle categorie "migliore" e "peggiore" e la loro adeguatezza a entità grandi e complesse.  Posso, per esempio, affermare con un buon grado di certezza che la società tedesca è oggi molto migliore di quanto non lo fosse tra il 1933 e il 1945. Così come riesco a paragonare molto facilmente due società così diverse come la Germania moderna e la Germania nazista, potrei in principio immaginare, per analogia, un paragone formalmente valido tra il cristianesimo dell'Europa occidentale e l'Islam nel subcontinente indiano, per esempio. La conclusione non sarebbe ugualmente ovvia, i fattori da analizzare attentamente renderebbero il computo abbastanza arduo. Ma, soprattutto, si tratterebbe di un mero esercizio intellettuale che non potrebbe e non dovrebbe insegnarci niente sulla morale e sulla politica.

Esiste solo un paragone utile: quello tra la nostra cultura attuale, l'unica che abbiamo qualche speranza di influenzare direttamente, e una sua possibile versione nel futuro prossimo.

Userò il caso del miglioramento individuale come metafora per giustificare l'affermazione del capoverso precedente. Penso che sia legittimo e veritiero dire che Nelson Mandela era una persona migliore di Ted Bundy, il serial killer statunitense famigerato negli anni 1970. Certamente esistono persone migliore di me, ma senza dubbio anche persone peggiori. Questo prova che il concetto di persona "migliore" o "peggiore" di un'altra, ha un nesso significativo con la realtà. Nonostante ciò, non è mai fruttuoso o interessante chiederci se siamo persone migliori o peggiori di qualsiasi altro essere umano. Ritenerci peggiori, non fa bene all'autostima, pertanto non aiuta a migliorarci. Giudicarci superiori, non fa bene all'autostima del termine di paragone e ha ovvie conseguenze sgradevoli anche sulla nostra personalità. L'atteggiamento più intelligente, è fare il nostro meglio per evolvere sempre in senso positivo. L'unico paragone costruttivo, è quello tra noi, così come siamo adesso, e la persona che possiamo concretamente diventare. Se in questo percorso evolutivo, includiamo aspetti come l'empatia, le competenze sociali, il contributo alla società, il senso di responsabilità e il rispetto per gli altri, stiamo contribuendo allo stesso tempo per un ambiente migliore intorno a noi. Le persone che fanno parte di questo ambiente, molto probabilmente, andranno d'accordo con noi, e questo renderà la nostra vita più facile e incoraggerà gli altri a seguire un percorso simile. Ovviamente, sapersi difendere dalle aggressioni e esigere un minimo di rispetto, deve far parte delle competenze sociali che vogliamo sviluppare, perché ci sarà sempre qualcuno disposto ad ottenere facili vantaggi individuali a spese delle necessità degli altri, ed è necessario rendere questa tentazione meno attraente. Ma una certa dose di pazienza e di tolleranza per i difetti inerenti alla condizione umana, sono un elemento essenziale della vita sociale.

Analogamente, la domanda se l'occidente è migliore o peggiore di qualsiasi altra civilizzazione, è vana. Non fa bene a nessuno sentirsi dire che la sua cultura, qualsiasi essa sia, è inferiore o superiore, perché la reazione naturale della maggioranza delle persone sarà disprezzo in un caso, e risentimento o invidia nell'altro. Quello che fa bene, è essere aperti e curiosi in relazione a culture diverse dalla nostra, e coscienti del fatto che, alla fine, esiste solo un'unica grande civilizzazione umana.

La ruota, l'agricoltura, la domesticazione degli animali, la scrittura, la numerazione decimale, il metodo scientifico ... sono conquiste di culture molto distanti nel tempo e nello spazio, ognuna delle quali ha spianato la strada a molte delle successive. Formano una catena di progressi culturali che unisce l'intera umanità. Questa interdipendenza, in tempi recenti ha raggiunto livelli inimmaginabili. Siamo tutti parte di un'unico mondo, che lo vogliamo o no. Fa bene a tutte le culture riconoscere questo fatto. Fa bene alla cultura occidentale continuare sul cammino degli innegabili miglioramenti in relazione all'uguaglianza di genere, alla libera espressione, al riconoscimento del diritto a diversi stili di vita e orientazioni sessuali. Disprezzare culture che ci sembrano, a torto o a ragione, meno avanzate di noi relativamente a qualcuno di questi specifici aspetti, è controproducente per la promozione di questi valori fuori dall'occidente e per l'armonia tra popoli e culture.

Molti occidentali non si sentono occidentali, preferiscono considerarsi semplicemente umani. L'autore di questo articolo, fa parte di questa categoria. Tuttavia, piuttosto che fomentare una sterile polemica, preferisco riconoscere il diritto di sentirsi occidentali, ma voglio contribuire a che questo senso di appartenenza si alimenti degli aspetti più positivi della nostra cultura e superi quelli peggiori. Vorrei un Occidente realmente aperto a tutti e tutte.

Un'analisi esaustiva degli argomenti a favore della chiusura delle frontiere e una loro obiezione attenta e basata su fatti ben documentati, va oltre gli scopi di questo articolo e delle competenze del suo autore. Eppure, ho fatto il mio meglio per esercitare il mio spirito critico. Pensiamo che il ruolo dell'insegnamento della scienza e della filosofia, è quello di favorire quest'atteggiamento. Non vogliamo che i giovani e le giovani con cui lavoriamo nell'ambito di KEY 1.0 si identifichino necessariamente con le posizioni espresse qui, né con nessuna delle altre opinioni della squadra di KEY o di SOS racismo. Vogliamo che KEY contribuisca alla loro capacità di utilizzare autonomamente lo spirito critico per arrivare altrettanto autonomamente a qualsiasi conclusione.

Giancarlo Pace
Coordinatore del gruppo - Key 1.0.

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